Polveri
Le polveri sono la forma farmaceutica più semplice. Come dice la parola stessa sono polveri, ad esempio di sole erbe triturate, o meglio polverizzate, oppure con l’aggiunta di qualche altro prodotto, sempre in polvere, per facilitare o ricercare una determinata caratteristica come assorbimento, miscelazione, scorrevolezza per esempio.
Si possono usare così tali e quali come sono, oppure per la preparazione di altre forme, che risultano essere più facili da somministrare o opportune in considerazione della natura della droga vegetale che si adopera. Infatti le polveri sono la materia prima per la produzione di compresse, granulati, capsule, sospensioni e in alcuni casi vengono pure usate nelle creme.
VANTAGGI E SVANTAGGI
L’utilizzo di questa forma allo stato risulta anche essere, a volte, preferibile a quello delle compresse perché l’operatore,
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prosegui ... , erborista o medico che sia, ha la possibilità di essere più preciso nel dosare la giusta quantità per il consumatore/paziente, sia perché risultano avere una maggiore biodisponibilità ad esempio nei confronti di una compressa sulla quale pesa la fase di disgregazione.
Quindi le polveri, seppur poco conosciute come tale, rappresentano un indispensabile forma di utilizzo.
Purtroppo non tutto è cosi semplice come può sembrare all’apparenza. Se da un lato le polveri sembrano aver dei vantaggi enormi, questi vengono compensati dai problemi che si riscontrano nella loro lavorazione. Innanzitutto non è possibile prendere due o tre tipi di polveri, gettarle tutte in un contenitore e mischiare. La grande quantità di materiale e/o la differenza di quantità tra i tipi di polveri non permettono una miscelazione omogenea, a meno che non stiamo parlano di produzioni industriali dove le polveri vengono miscelate per ore dai macchinari. A livello di officina, il singolo operatore deve iniziare a miscelare quantità uguali di due polveri, poi aggiungere un quantitativo uguale alla miscela ottenuta, della terza droga. E cosi via. Ci vuole tanta pazienza e un po’ di tempo libero. Sempre che non sorgano altri problemi, causati da igroscopicità, la tendenza ad assorbire l'umidità dell'aria; la deliquescenza, il solido si solubilizza nella propria acqua senza assorbirla dall'esterno; o l’impossibilità di ottenere direttamente una polvere, come nel caso della canfora. Questa infatti ha la tendenza deformarsi per il calore prodotto dalla lavorazione, senza ridursi a polvere. Per ovviare a ciò si usa la "polverizzazione per intermedio". La si solubilizza triturandola in un solvente volatile, che evaporando darà luogo a un precipitato polveroso di canfora.La produzione delle polveri però non è certamente un lavoro che si può fare a casa con il fai da te. Anche gli elettrodomestici da cucina più avanzati, che sono quelli che ritrovano nella maggior parte delle case, non hanno la capacità di polverizzare, ma al limite di triturare finemente.
L’unico processo per ottenerle è dunque quello industriale, dove vengono adoperati specifici macchinari, chiamati mulini, non molto diversi da quelli per il grano e la spremitura delle olive, oppure traverso la nebulizzazione.
Nella nebulizzazione, una soluzione satura del materiale da polverizzare viene nebulizzata da un atomizzatore all’interno di un getto d’aria calda. Questo fa evaporare l’acqua della soluzione, lasciano precipitare la polvere che volevamo ottenere. In questa maniera si ottengono polveri la cui granulometria, grandezza del singolo granello, è decisamente inferiore a quella ottenibile con i mulini, tanto da essere definite come micronizzate.
Con i mulini, invece, a seconda del tipo e della sua impostazione di partenza, si possono ottenere tre diversi ordini di grandezza delle polveri, che vengono chiamate: grossolane (particelle > 850 m); medie (fra 850 e 75 m) e fini (particelle < 75 m).
Come regola generale vale che più tempo passa in un mulino più diventa fine.
I principali tipi di mulini sono quelli a lame, a sfere, a cilindri, a martello, ognuno dei quali sfrutta una o più delle seguenti forze: di impatto, agiscono perpendicolarmente alla superficie del solido in modo impulsivo; di attrito, agiscono tangenzialmente alla superficie del solido, di pressione, sono forze simili a quelle di impatto, la cui durata è però prolungata nel tempo.
Nonostante le polveri possano essere utilizzate direttamente sulla pelle come ad esempio il “cicatrene” o il “borotalco”, oppure applicate sulle mucose, l’uso principale che se ne fa è quello per la produzione di granulati, compresse e capsule. Di questi tre tipi, senza ombra di dubbio, le più facili da fabbricare sono le capsule. Gli involucri sono venduti già pronti, divisi nelle due metà; l’unica operazione da effettuare è calcolare il volume delle capsule da riempire e preparare la conseguente quantità di miscela polverosa. Caricate le capsule sull’incapsulatrice, si passa al riempimento. Se si dispone di una incapsulatrice da laboratorio, da 50 -100 capsule, grande quanto un tostapane, è possibile anche prepararsele a casa, sempre se si dispone della polvere.
Decisamente impossibile prepararsi le compresse e i granulati. Le compresse necessitano di una notevole forza comprimente, che solo un macchinario meccanico o idraulica, chiamato comprimitrice, può garantire. Inoltre bisogna tener conto della scorrevolezza della polvere: troppo scorrevole non si aggrega, tropo poco scorrevole frena il macchinario. In entrambi i casi lo può grippare poiché altera le condizioni ideali di lavorazione.
La granulazione invece abbisogna di macchinari che facciano evaporare l’acqua che viene spruzzata sulla povere. Le gocce di acqua incorporeranno un tot di polvere e una volta evaporate lasceranno tanti “grumi” di polvere di diversa grandezza. Un prodotto classico di questa lavorazione è la magnesia o la citrosodina.